IX Convegno SISEC – PAVIA 2025. Visibili e invisibili nel capitalismo che cambia: imprese, lavoro, territori e politiche

Convegno. 29 gennaio - 1 febbraio 2025

Caterina Satta, Ester Cois e Mariella Popolla presentano:

Spazi e geografie del lavoro da remoto. Dalla casa, all’ufficio alla città andata e ritorno.

 

Panel: Ri-prendere posizione: meccanismi di radicamento territoriale e di riposizionamento dei fattori di produzione nel capitalismo che cambia

Coordinato da: Ester Cois, Valentina Pacetti e Sara Recchi

 

Il tema dello spazio nel lavoro da remoto è centrale non solo perché la remotizzazione comporta materialmente una decentralizzazione spaziale del lavoro nei contesti di vita privata delle persone, spesso descritta in letteratura come una “smaterializzazione del luogo di lavoro” sostenuta dall’innovazione tecnologica, una riorganizzazione interna degli uffici e una strutturale delle sedi di lavoro con chiusure, ridimensionamenti o dislocamenti che hanno inevitabili impatti sulla città e sul territorio, ma perché, a sua volta, lo spazio interagisce con il contenuto, il significato e il valore del lavoro nelle vite dei lavoratori e nelle aziende. In altri termini, lo spazio non è un mero scenario statico in cui il lavoro si realizza ma un attore che entra in relazione dialettica con gli attori e i fenomeni sociali. Come teorizzato nella svolta spaziale (spatial turn) da uno dei suoi principali teorici, Edward Soja, non possiamo evitare di prendere in considerazione “la spazialità ontologica degli esseri umani (siamo tutti individui spaziali oltre che sociali e temporali); la produzione sociale della spazialità (lo spazio è socialmente prodotto e può quindi essere socialmente modificato); la dialettica socio-spaziale (le forme spaziali modellano il sociale tanto quanto le forme sociali permeano quelle spaziali)”. La svolta spaziale, affermando la non neutralità dello spazio e la sua “natura” costruita e al tempo stesso produttiva delle relazioni, può quindi guidarci in una riflessione che cerca di comprendere un fenomeno che non è solo rappresentativo di un cambiamento in atto di cui dobbiamo analizzare criticità e potenzialità ma è anche potenzialmente generatore di ben più radicali cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e della nostra società in generale.

In questo senso va letta la proposta che ridà centralità allo spazio, che da appendice nelle dinamiche lavorative e familiari diventa attore sociale in relazione con il lavoro e la sfera privata, e ne amplia il peso, sottolineando come le risorse e gli ostacoli che i lavoratori e le lavoratrici incontrano nell’affrontare gli sconfinamenti del lavoro nella vita personale non appartengono semplicemente alle singole persone, ma risiedono nei contesti più ampi in cui le persone con le loro reti intime e lavorative sono collocate. È quindi anche al di fuori dell’ufficio o della casa, e oltre una lettura semplicemente materiale, che le risposte vanno trovate.

L’intervento si terrà Giovesì 30 Gennaio 2025, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia, Cors Strada Nuova 65, Pavia.

 

Caterina Satta presenta:

Passaggi di senso nell’era della disillusione. La qualità del lavoro raccontata dai corpi nello smart working.

 

Panel: Senso, significato e qualità della vita lavorativa

Coordinato da: Sonia Bertolini, Giorgio Gosetti e Marcello Pedaci

 

Se da meno di due secoli il lavoro nelle nostre società è diventato sempre più centrale, non solo come principale mezzo di acquisizione di un reddito, ma in quanto rapporto sociale fondamentale – Dominique Méda, riferendosi a Marcel Mauss, lo definisce il “fatto sociale totale” – nonché come “strumento mai messo in discussione per conseguire l’obiettivo dell’abbondanza”, negli ultimi anni, con un’accelerazione a seguito della pandemia da Covid-19, si parla di grandi dimissioni e di quiet queeting a dimostrazione di quanto un numero crescente di lavoratori e lavoratrici non sia più disponibile a “dare tutto al lavoro” o “per il lavoro”. È proprio questo aspetto del dare o non dare più tutto che segna un potenziale spartiacque tra l’esperienza novecentesca e tardo novecentesca del lavoro come mezzo per la realizzazione di sé in quanto attività creativa e rigeneratrice – diventata poi dominante con la flessibilizzazione –, e quella, che aveva contrassegnato il lavoro remunerato ai suoi esordi, del lavoro come mezzo per vivere. Il passaggio, cioè, da una concezione strumentale del lavoro, come mezzo per vivere, a mezzo per l’espressione e la realizzazione di sé. Bisogna sottolineare come questa concezione del lavoro come strumento per sviluppare le capacità umane procede di pari passo con un’idea radiosa del futuro, sostenuta dallo sviluppo tecnico.

Che cosa si può dire invece oggi degli immaginari di futuro prevalenti nelle nostre società nordoccidentali? Coltiviamo davvero questa fede in un futuro radioso? Come molti sociologi e studiosi del cambiamento sociale, e in particolare della temporalità, hanno affermato, le nostre sono società più caratterizzate dalla sfiducia, dalla paura, dalla disillusione, o dalla nostalgia, che dalla speranza.
Non deve quindi stupire che, così come nel diciannovesimo secolo la centralità del lavoro era legata alla fiducia nel progresso, oggi questo disinvestimento delle persone e, dei giovani in particolare, nel lavoro non sia slegato dalla visione di futuro sociale, collettivo, e vada incorniciato in uno scenario più ampio legato all’essenza della società nella contemporaneità.

La proposta, si concentra sul senso, anche corporeo, del lavoro da remoto nella vita delle persone. A partire da interviste narrative e visuali (visual elicitation) con lavoratori e lavoratrici impiegati/e nel settore del terziario avanzato, emerge che, se anche il tema della crisi sociale, economica, ambientale, o dell’instabilità data dalle guerre e dalle pandemie, non è esplicitato, si coglie un profondo senso di malessere dei lavoratori, e soprattutto delle lavoratrici, legato al lavoro e alle sue nuove configurazioni spazio-temporali. Il lavoro a distanza ha solo reso più visibili e tangibili gli aspetti di interdipendenza nelle vite delle persone e la porosità dei confini tra sfera produttiva e riproduttiva che sono sempre esistiti, ma che ora, avendo materialmente eroso i confini regolati anche temporalmente del posto di lavoro, diventano più pressanti. In particolare, il “ritorno” a casa di tante mansioni del lavoro produttivo, non più slegabili da quello riproduttivo, hanno al contempo appesantito e liberato il corpo dal lavoro. Dall’analisi testuale e visiva delle interviste sui corpi al lavoro si colgono elementi di un nuovo modo di intendere la vita dentro e fuori dal lavoro, dove il fuori è più spesso preludio di un’uscita da quel mondo (i cui esiti sono ancora incerti) e il dentro può costituire un nuovo scenario lavorativo con la vita al centro.

L’intervento si terrà Giovesì 30 Gennaio 2025, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia, Cors Strada Nuova 65, Pavia.